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Prescrizione, il rischio di allungare i processi

Opinionista: 

Sulla questione della abolizione della prescrizione dei reati penali, ormai in vigore già dal 1° gennaio di quest’anno, si è acceso un incandescente dibattito, sia per la forte carica dirompente sul nostro ordinamento giuridico, quasi “una bomba atomica” come l’ha definita l’on. Giulia Bongiorno, sia appunto per le implicazioni di carattere politico che il contrasto delle tesi opposte comporta in termini di posizionamento identitario. In altri termini il dibattito si sta radicalizzando più per la necessità di piantare la propria bandierina, piuttosto che per risolvere uno spinoso problema. Cosicché se è vero che oggi il M5S difende l’attuazione della norma anche se non si è provveduto a riformare prima il processo, come era stato stabilito in sede di accordo nel Governo precedente con la Lega, è anche vero che Renzi - che oggi agita la bandiera del garantismo - era già a conoscenza di questa situazione dal mese di agosto, quando addirittura sollecitò il Pd all’accordo con i 5S e quando con la fiducia al Conte bis ne votò anche il programma. Per questo non vale la pena di attardarsi a valutazioni di carattere politico mentre è più che opportuno affrontare la questione della prescrizione sotto il profilo giuridico, anzi direi sotto il profilo della nostra civiltà giuridica. Infatti da più parti si è evidenziato come questa abolizione della prescrizione si ponga in aperto contrasto con il principio costituzionale stabilito dall’art.111, che prevede la “ragionevole durata del processo”. Così come in maniera indiretta essa si pone in stridente contraddizione con il principio di innocenza fino alla sentenza definitiva (art. 27). Così come è difficile pensare ad una concezione rieducativa della pena ed al reinserimento nella società (art. 27, 2° comma) se la sentenza definitiva giunge dopo un tempo biblico quando, dopo decenni, il contesto sociale, morale e personale del condannato o dell’assolto è del tutto cambiato. Tutto ciò conferma la tendenza tutta italiana di risolvere i problemi spostando le soluzioni. Cosicché se non si riesce a far funzionare la giustizia e il 25% dei processi va in prescrizione prima dell’appello, invece di accelerare l’iter dei processi, per raggiungere la “ragionevole durata” si prende la facile strada della abolizione della prescrizione rischiando di allungarli ad libitum, come sostenuto dagli Ordini Forensi ed anche da numerosi Procuratori Generali. Ma attenzione: la questione fino ad oggi è stata impostata nell’ottica del rapporto fra sentenza e durata del processo cosicché, posto il principio della implacabilità della persecuzione del reato, la discussione verte sulla incapacità della amministrazione della Giustizia di pervenire a sentenza prima della prescrizione. Nessuno ha inquadrato la questione da un altro punto di vista che consideri la ratio dell’istituto della prescrizione. Il concetto di prescrizione deriva dal diritto romano, che per primo intuì l’importanza giuridica del trascorrere del tempo. Pensiamo all'usucapione oppure all’estinzione di un debito-mai-petito, nel diritto civile. Anche sul versante penale il fluire del tempo non può non incidere sui rapporti umani e sociali, anche perché se il reato viene considerato come lesione di diritti altrui, esso è principalmente una lesione dell’ordinamento giuridico dello Stato. Da questo punto di vista la prescrizione del reato è direttamente legata al venir meno dell’interesse dello Stato alla persecuzione di quel reato. Non a caso la prescrizione è calibrata in proporzione alla gravità del reato, sia in riferimento al danno procurato a terzi, sia in riferimento alla gravità della lesione all’ordinamento pubblico. L’abolizione della prescrizione mette sullo stesso piano l’interesse dello Stato a perseguire senza limiti il furto delle mele e l’omicidio più efferato. L’interesse delle vittime e l’interesse dello Stato sono i punti di riferimento per una discussione che al momento non si vede all’orizzonte.