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Quel potere perduto che la gente reclama

Opinionista: 

Sembra proprio che, questa volta, la nuova legge elettorale stia per essere approvata e che il voto anticipato in autunno sia, ormai, molto più di un'ipotesi. Lo vogliono il Pd di Renzi (con l'eccezione della minoranza orlandiana), il Movimento di Beppe Grillo, la Lega di Matteo Salvini, Silvio Berlusconi. Di fronte ad una così vasta maggioranza, anche Sergio Mattarella che pure aveva con forza auspicato che la legislatura arrivasse alla sua scadenza naturale, sarà, dunque, costretto a chinare il capo. Salvo clamorosi ribaltoni, ci siamo, quindi (la situazione non può certo essere modificata dalle proteste di Angelino Alfano e delle altre forze minori che si vedono penalizzate dal previsto sbarramento del 5%). La gente comincia, perciò, a domandarsi a chi debba dare il proprio consenso e la risposta che più frequentemente capita di udire è: "Questa volta non so veramente per chi votare". Il fatto è che nessuna forza politica - da quando le ideologie tradizionali sono tramontate - sembra esser dotata di una reale capacità di attrazione. La società, negli ultimi decenni, è radicalmente cambiata; i partiti, per contro, sono rimasti al palo, incapaci di interpretarne gli umori, aggrappati ai propri riti e ai propri miti. La crisi della cosiddetta "forma partito" non è di oggi. La necessità di una riforma in questo settore è avvertita da tempo e già alla metà degli anni Ottanta, l'allora segretario della Democrazia cristiana Ciriaco De Mita tentò di farne il tema dominante del dibattito politico. Ma la sua restò una voce nel deserto. Nulla di concreto venne fatto è nulla di concreto è stato fatto dopo gli innumerevoli convegni effettuati in epoca recente dal Pd per dibattere la questione, sino alla nomina, nel novembre scorso, di una commissione che avrebbe dovuto mettere a punto una serie di proposte sull'argomento. I partiti sono sempre gli stessi è sempre peggiori anche se restano, a nostro avviso, strumenti indispensabili per la raccolta del consenso. Appare peraltro difficile non tener conto di un orientamento dell'opinione pubblica che sembra profilarsi sempre più nettamente: quella di privilegiare la scelta del candidato rispetto a quella del partito. Infinite volte ci è capitato di sentir dire: "I partiti non mi interessano. Sono tutti uguali. Io scelgo l'uomo che considero migliore, non il partito". Giusta o sbagliata che sia questa tendenza, il legislatore - specialmente nel momento in cui è impegnato a varare una nuova legge elettorale - dovrebbe tenerne conto. C'è un adagio latino che ci sembra si adatti bene a questa situazione: "ex facto orditura ius", che letteralmente significa: "il diritto nasce dal fatto" e sta a significare che il sistema giuridico si evolve in modo da regolare le situazioni che emergono dalla realtà di fatto. Stando così le cose, per calarci in un esempio concreto, ci viene da chiedere se non sarebbe opportuno ripristinare in qualche modo quel voto di preferenza che le forze politiche tendono, quasi unanimemente, a demonizzare. Si dice che il sistema delle preferenze alimenterebbe la corruzione politica e il voto di scambio. C'è un che di vero in questo, ma non si tiene conto del fatto che la corruzione politica nasce dal malcostume dei partiti e non vi si pone rimedio privando i cittadini di un loro diritto, ma moralizzando la vita pubblica. Riservando agli stati maggiori dei partiti la scelta di coloro che devono essere eletti, si alimenta nella gente la convinzione che la politica sia "cosa loro" il che genera la disaffezione, la sfiducia, il sospetto di essere strumento di giochi altrui. Ed è più che mai necessario, invece, ripristinare un circuito virtuoso nel rapporto sempre più deteriorato tra cittadini e politica.