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Sotto il sussidio niente, ascoltate almeno Draghi

Opinionista: 

Scusate, ma non doveva cambiare tutto? Non ci avevano raccontato che nulla sarebbe stato più come prima? Che uno tsunami avrebbe rivoluzionato le nostre vite? Che bisognava reinventare, ricostruire, rinnovare? È accaduto esattamente l’opposto. Tutte le decisioni messe in campo da marzo a oggi per fronteggiare la pandemia sono state improntate a un’unica preoccupazione: conservare, congelare, ibernare lo status quo. Fermare qualsiasi cambiamento possibile. Nella consapevolezza che se quel cambiamento fosse avvenuto, il prezzo da pagare - sociale, politico ed economico - sarebbe stato troppo grande. Per tutti. Giusto. Ma la sacrosanta prudenza che sempre dovrebbe guidare gli uomini di governo, nel caso di Conte e del suo Esecutivo è sfociata in un immobilismo snervante. Nessuna visione oltre il blocco dei licenziamenti, bonus a go-go, sovvenzioni pure, proroga di tutto il prorogabile. Intendiamoci: data l’eccezionalità della situazione, lo choc senza precedenti che ha colpito il mondo intero, nessuno può dare lezioni o mostrare ricette miracolose. Tutte le Nazioni arrancano tra incertezze e contraddizioni. Ma allora bisognerebbe avere il coraggio di dire che ci hanno raccontato un mare di frottole: altro che cambierà tutto, qui si sta lottando con le unghie e con i denti perché nulla cambi. Ad aggravare la situazione c’è l’angosciosa attesa - che col passare delle settimane diventa via via più snervante - che arrivi una seconda ondata del virus, le cui conseguenze economiche e sanitarie per l’Italia sarebbero esiziali. È chiaro a tutti che un conto è chiudere le discoteche, altro sarebbe una nuova serrata della manifattura. Tuttavia, di fronte a questo scenario la politica italiana continua ad essere la stessa dell’inizio della pandemia. Maggioranza e opposizione si muovono come se l’emergenza dovesse durare in eterno. E con essa tutte le deroghe (ad iniziare da quella sul Patto di stabilità Ue) garantite dall’eccezionalità delle circostanze. Le cose, invece, non stanno affatto così. Chi pensa che con i soldi europei del Recovery Fund tutti i nostri problemi andranno a posto si sbaglia di grosso. La domanda è semplice: se le entrate fiscali continueranno a rallentare e l’Esecutivo sarà costretto a nuove manovre a colpi di deficit, quanto tempo ci vorrà per raggiungere il punto di non ritorno? Che accadrà quando lo scudo della Bce, che comprime i costi del nostro debito pubblico, terminerà? Ecco, una politica seria è su questo che dovrebbe interrogarsi. Dovrebbe avere una visione almeno di medio periodo. Con la logica del giorno per giorno, invece, accadono cose come quelle di queste settimane, con il Tesoro alla disperata ricerca di 8,4 miliardi da rastrellare entro fine mese, facendo pagare ai contribuenti 246 scadenze fiscali. Perché anche le proroghe hanno un limite. Soprattutto se la cassa piange e il debito è usato solo in spesa corrente, invece che per investimenti e produzione. Ieri l’ex presidente della Bce, Mario Draghi, lo ha detto chiaro: «I bassi tassi d’interesse non sono di per sé una garanzia di sostenibilità». Speriamo ascoltino almeno lui. In questa situazione abbiamo ancora il coraggio di traccheggiare sui 37 miliardi del Mes, i fondi europei per il nostro sistema sanitario. Gli unici, veri soldi che Bruxelles ha reso disponibili subito per affrontare un autunno che si annuncia critico. La vicenda sta diventando addirittura ridicola. Appena 48 ore fa il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, è tornato a ribadire l’urgenza di attivare il Mes, ma i casaleggini associati gli hanno sbattuto in faccia l’ennesimo no. Peccato solo che i due partiti abbiano appena stretto un rinnovato patto politico. Su cosa, però, non è dato sapere, visto che restano divisi su tutte le questioni di merito più importanti. Di questo passo, dovremo temere più la fine della pandemia che la seconda ondata.