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Troppi altri cinque mesi di campagna elettorale

Opinionista: 

Avverte un vecchio detto popolare che chi vuole premunirsi dal timore di un pericolo incombente, “mette le mani avanti per non cadere all’indietro”. È, più o meno, l’operazione che sta facendo Matteo Renzi nell’approssimarsi delle elezioni amministrative del prossimo 5 giugno. Nei giorni scorsi il nostro presidente del Consiglio ha, infatti, tenuto solennemente ad affermare che questa consultazione servirà a decidere chi deve amministrare le città, non chi deve guidare il governo del paese. E, contemporaneamente, ha ribadito un concetto espresso in più d’una occasione, secondo cui la vera sfida che direttamente lo riguarda sarà quella del referendum sulla riforma costituzionale in programma per ottobre poiché, se in questo referendum, i “sì” dovessero essere sconfitti, egli non esiterebbe a gettare la spugna e a ritornarsene nella sua Firenze, abbandonando la vita politica. Quelle di Renzi sono, indubbiamente, affermazioni importanti sulle quali mette conto compiere qualche riflessione. La prima concerne il tentativo di sminuire il significato politico del voto amministrativo. Ebbene, francamente facciamo qualche fatica a ridurre a “fatto locale” la scelta di chi dovrà guidare, nel prossimo quadriennio, città come Roma, Napoli, Milano. Del resto, Renzi non può non ricordare che, nell’aprile del 2000, a seguito di una pesante sconfitta subita nelle elezioni regionali, il suo più accanito competitor all’interno del patito, Massimo D’Alema, non esitò un attimo a rassegnare le dimissioni da capo del governo. Insomma, Renzi fa torto alla sua intelligenza se crede realmente che le amministrative del 5 giugno non abbiano una valenza politica. E siamo quindi portati a ritenere, come abbiamo detto all’inizio, ch’egli in realtà tema l’esito di questo voto e, minimizzandolo, miri ad evitare ripercussioni sul suo governo. Ma questo tentativo di esorcizzazione non basta. Le ripercussioni, inevitabilmente, ci saranno. Renzi, tuttavia, se il risultato sarà per lui sfavorevole, farà di tutto per non tenerne conto, proseguendo, imperturbabile, per la propria strada. Convinto, peraltro, di avere maggiori chances di vittoria nel referendum sulle riforme costituzionali, è su questo appuntamento che punterà le sue carte. Non a caso ha cominciato con largo anticipo la campagna elettorale referendaria. E lo ha fatto con grande abilità, riproponendosi, secondo la formula che è stata all’origine del suo successo, come l’uomo del cambiamento contro i sostenitori dello status quo. «Fuori dai palazzi del potere, negli ultimi anni – ha detto – l’Italia correva. E, invece, nel mondo della politica c’erano sempre le stesse facce. L’immagine più efficace che mi viene in mente della politica italiana di questi anni è il wrestling: in tanti hanno fatto finta di darsi botte pazzesche e poi si sono rimessi insieme. Non è un caso che sul fronte del “no” ci sia tutto e il contrario di tutto. Sono storie diverse, non unite da una proposta alternativa, ma dall’esigenza di dire “no”, non si cambia».Ci siamo dilungati nel riferire queste affermazioni di Renzi perché esse sintetizzano plasticamente quello che sarà il leit motiv di una campagna elettorale che s’annuncia interminabile e che, inevitabilmente, condizionerà la vita politica del nostro paese. Vivremo cinque mesi di scontri, di tensioni, di dispute aspre e di irrigidimenti che precluderanno quelle possibilità d’intesa che pure, in taluni casi, sono indispensabili Sul merito dell’alternativa proposta da Renzi – il “sì” porta il rinnovamento, il “no” ci fa precipitare nella stagnazione – avremo modo di tornare nelle settimane a venire. Ma ora ci sembra di poter rivolger al nostro presidente del Consiglio due domande. La prima: non gli sembra di aver fatto proprio quello che rimproverava ai suoi avversari e cioè di aver personalizzato la consultazione di ottobre con il rischio di mettere la sordina al tema delle riforme trasformandolo in un referendum su di lui? E non teme che in tal modo possa esserne alterato il risultato inducendo al “no” quanti temono che con la vittoria del “sì” il suo potere personale potrebbe dilatarsi a dismisura ?