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Un partito trasversale degli ex democristiani

Opinionista: 

Gentile Direttore, sto seguendo con una certa curiosità, ma anche scetticismo, la proposta fatta dalla consigliera regionale Annarita Patriarca, figlia del compianto amico Francesco, di “ricostituire” in Consiglio regionale, via whats-app (! ?), un partito trasversale di ex democristiani. È dal 18 gennaio 1994 (anno di costituzione del Partito Popolare Italiano a guida Martinazzoli) che la vecchia “Balena Bianca”, come veniva denominata la Dc dei De Gasperi, Fanfani, Moro e tantissimi altri illustri politici, ha cercato di “cambiare nome”. Non per seguire la futilità di una moda, disse lo stesso Martinazzoli: “Noi vogliamo rinnovare, ma non rinnegare” , fu la sua frase più celebre. I colpi, a senso unico, di tangentopoli avevano già prodotto effetti devastanti solo nella Dc e il Psi. Lo scopo di cambiare nome, in realtà, altro non era che il tentativo emozionale di “cancellare” dalla mente degli italiani la martellante spettacolarizzazione mediatica delle inchieste milanesi, dando della Dc l’immagine di un partito formato di soli corrotti e corruttori. L’operazione non riuscì, come si sa, e la “ gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto fu rovinosamente abbattuta dall’ingresso in campo di Silvio Berlusconi. Io stesso, già consigliere comunale e poi assessore a Napoli, convinto militante Dc, una volta scomparsa l’autentica identità del partito, fui “attratto” dalla politica liberale e tollerante del Cavaliere e mi candidai nella lista di Forza Italia alle Regionali del 1995, risultando il secondo degli eletti, e poi ancora nella legislatura successiva, sempre eletto, assumendo per 10 anni il delicato compito di capogruppo del maggior partito in Consiglio regionale. Ricordo ancora, e ne sorrido, i primi mesi della Consiliatura del 1995-2000, quando il compianto on. Rastrelli, eletto presidente della Regione, alla prima seduta del Consiglio vide seduti davanti a lui negli scranni a noi riservati , nella qualità di presidenti dei rispettivi Gruppi, il collega Giuseppe Scalera del Ccd (un ramo della distrutta Dc), il collega Antonio Jervolino del Cdu (altro ramo della vecchia Dc) e, finalmente, il “suo” delfino Marcello Taglialatela. La prima frase di Rastrelli fu:“Oddio, sono attorniato da democristiani! “. Eravamo 42 ex democristiani in Consiglio, compreso il Gruppo di 8 consiglieri dell’allora Ppi di Giovannino Grasso, su 60 consiglieri regionali! Da allora tanta acqua è passata! A Berlusconi non è stato mai “perdonato” di aver impedito la presa del potere dei post-comunisti. Dopo il suo logoramento giudiziario ed umano, favorito anche da scelte politiche sbagliate, tipo il “cerchio magico”, Forza Italia, scesa dal 33% al 6% ha “costretto” i tanti democristiani che ivi avevano trovato un porto naturale, a fare altre scelte. Negli ultimi dieci anni specialmente, molti ex Dc, anche autorevoli, hanno tentato in più occasioni di riaggregarsi insieme in un nuovo soggetto partitico, ma l’unica vera novità, è stata il proliferare di partiti populisti, come la Lega e il M5S. Durante questa legislatura, poi, abbiamo assistito alle piroette politiche del “Partito degli onesti”, il M5S, nei due governi di Giuseppe Conte: prima giallo verde con la Lega di Salvini, poi giallo rosso con il Pd di Zingaretti e adesso nel Governo di quasi unità nazionale di Mario Draghi. Manca, purtroppo, da molti anni, ormai, una presenza di una rappresentanza politica unitaria dei cattolici popolari e democristiani con un riferimento partitico. Da mesi, abbiamo assistito e assistiamo a movimenti solo tattici di Matteo Renzi, di Carlo Calenda, dello stesso Giuseppe Conte che vorrebbe portare al Centro il M5S, e dello stesso nuovo segretario Enrico Letta del Pd (ex Dc anche lui!). Tutti vorrebbero rappresentare l’elettorato moderato di Centro e che in gran parte non va a votare, ma tutti non osano dichiarare chiaramente di voler essere “alternativi alla destra nazionalista e populista e distinti e distanti dalla sinistra senza identità”. Giorgio Merlo, deputato Pd e giornalista (guarda caso, anch’egli ex Dc), i cui interventi leggo volentieri, nel nuovo libro intitolato “ Politica, competenza e classe dirigente” sul progetto di costruzione di un nuovo soggetto politico, propone un’assemblea costituente per superare la frammentazione politica esistente nell’area cattolico democratica e cristiano sociale. È, ovviamente, del tutto condivisibile l’idea del superamento della diaspora di un’area nella quale “tutti vogliono coordinare, ma nessuno vuol essere coordinato”, pensando all’assemblea costituente come lo strumento utile per tale progetto. Tuttavia, per non fallire nell’impresa, a me sembra sia indispensabile partire prima dal programma con cui ci si dovrebbe necessariamente confrontare. Un’assemblea costituente che si indicesse, senza un accordo sul programma, finirebbe col dividere, prima ancora di cominciare, sul tema delle alleanze, che, tra l’altro, saranno condizionate se non del tutto imposte, ahimè, dalla legge elettorale che, alla fine, sarà scelta. Trovata l’intesa sul programma, ossia sulla mediazione realistica e storicamente attualizzata tra gli interessi e i valori che si intendono rappresentare, va da sé che ci si potrà alleare con chi, trovando consonanza col programma, intende difendere e attuare integralmente la Costituzione, che è il programma più avanzato possibile, soprattutto per rispondere, come direbbe Giorgio La Pira ”alle attese della povera gente” e non solo, ma anche a quelle del terzo stato produttivo architrave del sistema democratico. Un vero e leale (verso gli elettori) impegno politico deve evidenziare senza “se“ e senza “ma” le priorità che emergono nell’Italia del dopo pandemia: la ricostruzione della sanità pubblica, la digitalizzazione del Paese, l’edilizia scolastica, la conversione energetica, la sicurezza idrogeologica del territorio e, prima di ogni altra cosa: la ripresa economica e dell’occupazione. Per ciascuna di queste emergenze occorre una classe dirigente capace e volitiva: Draghi e pochi altri del suo Governo non possono farcela da soli! Abbiamo un prossimo e vicino appuntamento elettorale (elezioni amministrative) per “sperimentare” la reale volontà dei (una volta) “liberi e forti” di formare una lista identitaria della “vecchia” Dc. Pensate veramente che i 25 “nostalgici” del consiglio regionale della “Balena Bianca” si “svincoleranno soprattutto dal “mancipium” e dalle “protettive” ali dello “Sceriffo” De Luca? Non ci pensate nemmeno un attimo: come disse Juba, l’amico del generale Massimo Meridio nello splendido film “Il Gladiatore”, pensando al suo amico morto nell’arena: “Ci incontreremo un giorno… ma non ancora, non ancora!”